Iraq – memorie del sottosuolo (parte terza)


 Dove Pinocchio semina le sue monete d’oro nel campo dei miracoli (petroliferi), rischia lo strangolamento e viene – forse – salvato da Mangiafuoco.

 

 

 

 

L’altra opzione (ma in realtà è connessa alla prima) è quantitativa: la Turchia ha un fabbisogno di circa 800mila b/d, se il Kurdistan iracheno fosse in grado di coprirlo, per Ankara la tentazione di trattare direttamente con Erbil e bypassare il governo federale potrebbe farsi forte.

La Turchia è comunque un socio inevitabile, di quell’aggiramento, perché gli idrocarburi non potrebbero che transitare sul suo territorio.

Ma più che una geopolitica si è rivelata una petromitologia, un realismo ingenuo. A partire dall’inizio del 2009 le fortune di questa strategia di “liberazione nazionale” incontrano una serie di rovesci, maturano nella società irachena e nelle liaison petrolifere una serie di tendenze che minano e fanno saltare uno dopo l’altro i capisaldi di quel progetto, formano un movimento a tenaglia sul Kurdistan iracheno.

La caduta di tensione del movimento confederalista e la perdita di coesione nell’asse con gli sciiti si manifesta con evidenza nelle elezioni politiche del marzo 2010, ma già nel gennaio del 2009 nella provincia di Ninive, territorio conteso e di fatto occupato dai peshmerga, gli arabo-sunniti portano a una schiacciante vittoria il partito al Hadba e la sua piattaforma politica esplicitamente revanchista e ostile ai Curdi. Nell’agosto dell’anno precedente, sempre in un territorio conteso, quello di Khanaquin, si era sfiorato il confronto militare tra forze del KRG e contingenti dell’esercito iracheno – la mediazione americana, supportata da una decisiva presenza militare sul campo, aveva evitato lo scontro. Kirkuk rimane un’altra pericolosissima faglia.

Il vento è mutato su tutto l’Iraq, al Maliki conduce la sua campagna di reconquista del paese alla sovranità nazionale (e al potere centrale di Baghdad), anzitutto con il consolidamento dell’esercito e del suo controllo del territorio, ben consapevole che l’azione di contrasto alle punte separatiste più avanzate (i Curdi) riscuote crescente consenso a livello parlamentare e nella società irachena, oltre al benestare americano. Gli arabo-sunniti hanno abbandonato l’aventino dei primi anni, se non il rancore per lo spodestamento, e supportano decisamente questa virata nazionalista, di cui comunque rimangono azionisti di minoranza.

Sul fronte petrolifero al Maliki e il suo ministro degli idrocarburi Shahristani avevano già lanciato l’assedio, con il disconoscimento di tutti i contratti stipulati dal KRG con le società estere e soprattutto con la decisione di escludere preventivamente dalle aste petrolifere e gasiere di Baghdad tutte le compagnie assegnatarie di campi nel Kurdistan. Finché le tornate si chiudevano con nulla di fatto, per la diserzione sistematica da parte delle Ioc, quell’interdetto aveva uno scarso peso, ma tra giugno e dicembre 2009 qualcosa si sblocca, in estate viene assegnato a un consorzio Bp-CNPC il campo di Rumaila (uno dei giacimenti supergiganti del sud) e l’asta di dicembre vede la partecipazione massiccia delle maggiori compagnie.

Tra la seconda metà del 2009 e il 2010 – come si vedrà – la strategia petrolifera di al Maliki consegue un successo assolutamente insperato, addirittura “sconcertante” agli occhi attenti degli Stati Uniti. E’ a questo punto che l’aut aut di Shahristani alle Ioc diventa effettivo, configura un vero embargo alla quasi-repubblica del Kurdistan.

Le relazioni con la Turchia rimangono segnate dall’ambiguità. La nuova leadership di Ankara sembra orientata a sviluppare una soluzione politica al lungo conflitto interno con la popolazione curda, e anzi a proporre un suo progetto di integrazione e sviluppo economico per l’Anatolia orientale, ma nei fatti si sono compiuti progressi ben limitati – e se non si istrada la questione interna decisamente su un sentiero risolutivo, difficilmente i rapporti con il KRG (e con lo stesso Iraq, in verità) potranno svilupparsi nel senso di una piena cooperazione. La vulcanica politica energetica di Ankara mira a fare della Turchia un vero hub intercontinentale dell’energia, si profila il disegno di una vasta rete di oleodotti e gasdotti, non solo sull’asse Est-Ovest ma anche su quello Nord-Sud, tale da rendere l’Anatolia il pivot dei flussi tra Mediterraneo, Europa, Russia, Asia Centrale e Paesi arabi. In questa prospettiva certo non solo deve funzionare a pieno regime l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan, ma soprattutto si contempla il coinvolgimento del gas iracheno nel grande progetto europeo del Nabucco.

La formazione di uno stato curdo semi-indipendente nel nord dell’Iraq non sembra utile a questi disegni, soprattutto se dovesse avvenire nel quadro di una dura conflittualità con il resto del paese o addirittura di uno scontro militare. Ad Ankara serve un Iraq pacificato e in grado di dispiegare pienamente il proprio potenziale estrattivo, difficile pensare che si sia disposti a rovinare le relazioni con Bagdad per appoggiare il consolidamento di una piccola repubblica petrolifera nel nord, per cui la Turchia agirà sicuramente come fattore di stabilità e presumibilmente anche come mediatore, ma non può essere visto come il cavaliere bianco che alcuni del KRG sognano. 

Dunque lo stallo, e anche attraversato da forti tensioni: i territori oggetto di contenzioso tra Baghdad e il KRG sono diversi, oltre il caso di Khanaquin, e in particolare preoccupa la situazione di Kirkuk, una delle capitali petrolifere del paese, già città curda, prima che Saddam ne ristrutturasse la mappa etnica a favore della componente arabo-sunnita, con deportazioni di massa. Le questioni etno-territoriali (o petro-etniche) dovrebbero essere sciolte dalla procedura contemplata dall’art 140 della nuova Costituzione – un iter di censimenti e referendum – ma quel testo è rimasto lettera morta, tra innumerevoli rinvii.

Con i Peshmerga tuttora dispiegati nei territori contesi della trigger line (la linea che corre tra Siria e Iran, lungo la quale sono situati), l’aggressiva politica di contenimento di al Maliki (in predicato di essere confermato nella posizione di premier, dopo le ultime intese tra le maggiori forze parlamentari e il placet di Teheran), l’assedio petrolifero, il revanchismo degli arabo-sunniti dei territori, il rinvio sine die nell’applicazione dell’art.140, un esercito iracheno ancora balcanizzato dalle divisioni etno-settarie (numerosi e importanti in questi anni gli episodi di diserzione di massa, da parte di elementi curdi), la situazione appare pericolosamente instabile, volendo fare dell’understatement.

Eppure la strategia curda ha dato qualche frutto, di quelli sperati. Nell’estate 2009 entravano finalmente in scena le agognate Ioc: una media, la canadese Heritage, acquisiva Genel Enerji (impegnata nel campo petrolifero di Taq Taq), e un supergigante come la cinese Sinopec rilevava la Addax. Considerato che la compagnia cinese è anche protagonista della nuova fase apertasi con le aste irachene del 2009-2010, il governo centrale si è venuto a trovare di fronte a un serio dilemma, e poi alla necessità di transigere sul suo stesso veto.

Certo l’incertezza permane, il petrolio, o meglio le manovre delle compagnie, la segnalano chiaramente: a metà ottobre la Gulf Keystone Petroleum, impegnata nelle trivellazioni esplorative del campo Shaikan, lanciava il secondo aumento di capitale nel giro di un mese. L’esito era assolutamente favorevole, ma i tempi, a detta degli analisti, sono sospetti, prematuri rispetto al trend rialzista delle quotazioni e soprattutto al flusso di dati atteso dalle prospezioni. Secondo alcuni GKP avrebbe preferito capitalizzare le buone quotazioni subito, in vista di una imminente acquisizione da parte di una società medio – grande (forse Heritage). Questo da un lato segnalerebbe il costante interesse dei grandi operatori verso il petrolio curdo-iracheno e le possibilità di produzione, dall’altro si profila come un passare la mano, e la patata bollente delle relazioni tra Erbil e Bagdad.

Qualcosa si sblocca tra ottobre e questi giorni di fine dicembre, il viaggio di Maliki a Teheran è risolutivo per il nuovo compromesso che dovrà regolare i rapporti di forza tra le componenti etno-settarie e rimettere (forse) in movimento la trattativa sull’assetto statuale del nuovo Iraq: è un patto di garanzia, naturalmente, e comprende e tutela anche i Curdi del nord. Il premier si conferma nella carica; Allawi, nonostante la vittoria risicata alle legislative di marzo, deve ripiegare sulla presidenza del National Council for Higher Strategic Policy, un nuovo organismo dalle competenze e dai poteri ancora da definire. Per il premier dovrebbe essere un organo meramente consultivo, Allawi lo intende come un potere di controllo (e di veto) sulle questioni strategiche di politica economica e di sicurezza nazionale.

I Curdi si ritrovano miracolati, forse la novità più pesante del nuovo compromesso è nella sostituzione di Shahristani al ministero del petrolio. Talabani è confermato alla presidenza della repubblica, ma soprattutto il bilancio provvisorio dello stato incorpora le entrate attese da un export petrolifero curdo di 150mila b/d. La priorità assoluta per il nuovo governo è riparare e sviluppare le infrastrutture fondamentali, in particolare quelle – disastrate – da cui dipende l’erogazione di acqua e di elettricità, e per gli investimenti necessari servono risorse finanziarie (da cui la necessità di ripristinare un buon livello dell’export petrolifero) e sicurezza, controllo del territorio. Entrambe le condizioni convergono a rendere necessaria, tra altro, una intesa con i Curdi.

Eppure, se si conferma la necessità del consenso curdo per i delicati equilibri iracheni, rimangono irrisolte le questioni fondo. Ancora non si profilano le linee della futura Legge Petrolifera (vera e propria costituzione materiale del paese), e così rimangono in sospeso il destino dei contratti di production-sharing siglati dal KRG con le compagnie straniere e la questione dei costi già sostenuti dalle compagnie nell’esplorazione e sviluppo dei giacimenti curdi.

Lo stesso Shahristani rimane al governo come vice primo ministro, con delega sulle questioni dell’energia, posizione che paradossalmente potrebbe conferirgli un potere di controllo anche superiore sulle politiche petrolifere.

Soprattutto rimane pericolosamente indeterminato tutto l’arco della crisi sul territorio, la serie di rivendicazioni curde, occupazioni militari, risentimenti arabi nei territori della trigger line, il destino di Kirkuk e delle sue imponenti riserve, l’avvenire della procedura di autodeterminazione ex-art. 140 della costituzione.

Ma la sicurezza dei Curdi, che apparentemente non era mai venuta meno, emerge nelle dichiarazioni ufficiali e dalle fonti più confidenziali – il ministro delle risorse naturali (del KRG) Hawrami si permette addirittura una sorta di ultimatum al governo ancora in formazione, dà tempo a Baghdad fino a Giugno, per definire e approvare la legge petrolifera, e fa trapelare la certezza che verranno riconosciuti i trentasette contratti già firmati da Erbil con le compagnie estere.

Proviamo a fare qualche ipotesi su questa rinnovata sicurezza dei Curdi.

_ a Ottobre la società Usa Marathon ha concluso contratti per operare nei campi di Harir e Safen, vicino Erbil, e opzioni su Atrush and Sarsan. Ricordiamo il coinvolgimento di Heritage, e della cinese Sinopec.

 

 

_ le prospezioni esplorative effettuate dalle società hanno avuto un buon successo (otto scoperte in tre anni), e i contratti in sospeso valgono comunque 10 miliardi di dollari di investimento estero in esplorazione e sfruttamento. Sono stati conclusi anche accordi sul downstream, per la realizzazione di tre raffinerie.

 

_ aspettative crescenti si concentrano sul gas del nord, si tratta di riserve stimate in 200 mila miliardi cf. In Agosto è stato stipulato un importante accordo con la tedesca RWE, interessata a esportare il gas curdo in Europa, e ad assicurarsi giacimenti in grado di alimentare il (progettato) gasdotto Nabucco – un progetto, quello della pipeline, cui Washington attribuisce una importanza geopolitica cruciale. Due terzi dell’export sarebbero destinati al mercato turco.

 

In qualche modo le monete d’oro seminate dal Pinocchio-KRG nel campo dei miracoli petroliferi sembrano aver fruttificato. Anche se a salvare i Curdi forse non è stata la Fata Turchina americana, ma il Mangiafuoco cinese, che nella sua inestinguibile fame di energia ha assunto – come vedremo – un ruolo cruciale nell’intreccio iracheno, è probabile che questa “salvezza” sia, come molti aspetti dell’Iraq di oggi, un assetto provvisoriamente imposto a Baghdad dalla necessità e dall’urgenza (di finanziare le casse dello stato), dal convergere di interessi molteplici ed eterogenei (americani, cinesi, europei, turchi – industriali, di sicurezza energetica, di equilibrio geopolitico). Nella situazione di fatto però quegli interessi si consolidano, producono investimenti, utili, infrastrutture, aspettative (geo)politiche e nuovi equilibri, e il fluido, instabile accomodamento provvisorio può cristallizzarsi.

11 pensieri su “Iraq – memorie del sottosuolo (parte terza)

    1. andrea Autore articolo

      grazie della segnalazione. dificile pensare, in effetti, che nel generale rivolgimento mediorientale la grande questione curda rimanga tra parentesi.

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  1. indygena

    Poesie di combattenti e detenuti politici Curdi.

    Dogus (Rinascita)

    I veleni degli occupanti
    non giungono a lordare
    la caverna della libertà.
    Il mio cuore è un sacrario
    illuminato dal sole.

    Nel mio cuore c’è spazio
    per tutto il sole
    per tutto il mare
    per il mio popolo.

    E’ libertà il monte Cudi
    e gli Zagos
    sono libere le vette
    del Herekol e del Munzur.

    Un altare sacro
    a tutte le dee
    a tutti gl’iddii
    e la libertà nel mio cuore.

    Le montagne hanno aperto la strada
    nelle prigioni
    globi di fuoco
    dentro di me la vendetta è tempesta
    ed oggi
    sento la vigilia di un’esplosione improvvisa.

    Non vi spaventi il mio grido
    dentro di me
    sto nascendo di nuovo.
    Musa

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  2. indygena

    Poesie di combattenti e detenuti politici Curdi

    Yol (strada)

    Questa notte scura è una grossa toppa
    sul volto del sole.
    Ad ogni alba
    Strappo le cuciture coi denti.
    Ma non bastano tutte le lacrime
    per spegnere quest’incendio.
    Al fuoco s’addice il fuoco.

    Zin A.Lales

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  4. Lorenzo Nannetti

    Anche qui bella analisi, anche se considero le chance che alla Turchia interessi davvero un Kurdistan ricco e indipendente completamente nulle. Uno stato (o simil stato) curdo indipendente ai propri confini costituisce per la Turchia non solo un rischio ma addirittura un affronto e difatti l’unico motivo per il quale le incursioni dell’esercito di Ankara non sono state più estese o più pubblicizzate è solo per mantenere le apparenze di tutela della sovranità dell’Iraq. Il giorno in cui-se mai accadrà-il Kurdistan diventerà davvero indipendente, sarà il giorno nel quale le forze armate Turche riceveranno l’ordine di invasione.

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  5. Marco Ferrari

    Il popolo curdo non deve rappresentare un eccezione a questo proposito, qualora le sue aspirazioni vadano al di là della situazione federale che attualmente lo rende parte integrante di un Iraq unitario, qualora ciò sia nel suo interesse a breve e a lungo termine, e qualora gli equilibri regionali siano in grado di assorbire la nuova entità senza che peraltro ciò arrechi danno alle altre componenti dell’Iraq.

    Bella analisi storica, Andrea.
    Attualmente la quota di petrolio riservata alla regione del Kurdistan dal bilancio dello stato iracheno è pari al 17%, mentre la produzione petrolifera di Kirkuk equivale quasi al 27%: ce n’è abbastanza per mettere in crisi l’assetto debolmente federale, essendo il petrolio quasi l’unica fonte d’introito per le casse irakene.
    La battaglia per Kirkuk è così una lotta per il diritto all’autodeterminazione dal punto di vista dei curdi, ma anche una lotta per l’esistenza di un Irak unitario.
    Vediamo se stavolta Pinocchio ce la fa a diventare bambino… Che la Fata Turchina si sia tracestita da Mangiafuoco?

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  7. simona bogani

    Al solito, l’originalità sta nel prendere uno degli aspetti del problema e renderlo protagonista mettendo ognuno degli altri nella corretta prospettiva storica..
    Negli ultimi anni si è parlato di ‘centri e periferie’ per catalogare le situazioni socio-politiche ai tempi della globalizzazione, l’esempio del Kurdistan sembra mostrare il nuovo protagonismo delle ‘terre di mezzo’

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